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Un Sì per un No.

Aggiornamento: 7 feb 2022

La capacità di comprendere le trame e i complessi dietro ai drammi legati alle storie di vita di altre persone, (ma anche della nostra stessa vita) è un segno di alto sviluppo cognitivo analitico. Questa capacità, se ben utilizzata, diventa una eccellente competenza di gran valore nel campo lavorativo e educativo (incluso le abilità per la didattica e la formazione), ma soprattutto nella costruzione di una vita sociale sana e positiva.


Quando usata male, questa capacità diventa fonte di pettegolezzi e intrighi, il che rende un ambiente di lavoro, di amicizia o familiare tossico perché insieme alle dicerie arrivano anche i commenti negativi, le critiche, e i pericolosi giudizi di valore che ricadono sui caratteri di ognuno di noi. Allora, a lungo andare, questi ambienti diventano pesanti perché oltre a minacciare la nostra integrità, mettono in gioco perfino i principi di valori morali di summa importanza per una vita socievole costruttiva, come ad esempio, la fiducia, la sincerità, e la lealtà.


Una persona che sostiene il motto "Non fidarti mai di nessuno", molto probabilmente è vittima di un ambiente intellettuale povero e socialmente tossico. E il risultato non è altro che frustrazione e instabilità nelle relazioni affettive (principalmente quelle amorevole).

Ma cosa succede quando la nostra capacità analitica è accompagnata da una grande dose di empatia?


Se viviamo in prima persona una situazione che ci coinvolge affettivamente, il rischio è di soccombere alle scuse che ci diamo per giustificare ed accettare il comportamento fuori luogo degli altri verso di noi. E nel frattempo, mentre troviamo scuse ancorate alla nostra capacità di comprensione ed empatia, come: "Poverino ha perso la madre da piccolo", "Lei è fatta così perché aveva il papà alcolista", "Lui ha avuto un rapporto cattivo con la sua ex", "lei è stata abbandonata da bambina", "è così perché i suoi lo viziano", "ha avuto i genitori divorziati" ecc., diventiamo anche sacchi da pugni di queste persone a cui vogliamo bene e che difendiamo con le nostre giustificative.


Capire non vuol dire accettare, non utilizzare la tua capacità analitica per giustificare gli errori e gli sbagli degli altri verso di te.


Invece, quando la situazione non viene vissuta in prima persona, ma comunque siamo coinvolti mentalmente perché abbiamo un rapporto stretto con la persona di cui riusciamo a capire a fondo la storia, allora il rischio è quello di soffrire insieme, di sviluppare l’ansia, tristezza, insonnia o di fare promesse che non siamo in grado di mantenere. In queste situazioni la cosa migliore da fare è usare la propria capacità analitica per dare un consiglio saggio o, in casi più complessi, suggerire la consultazione con uno psicologo. Ciò non vuol dire essere indifferenti ai problemi dei nostri cari, anche perché il menefreghismo alla fine dei giochi finisce per estendere una noncuranza nei confronti dei propri doveri e/o dei diritti altrui. Il che rovina la nostra immagine e performance come professionisti, come membro di una famiglia, di un gruppo o di una coppia.


Dire di "No" non è per niente un compito facile, e molte volte ci crea un sistema automatico di "dire di sì" perché dai nostri circuiti empatici alla fine questa è l'unica risposta che conosciamo. A questo proposito molte persone creano conflitti che si accumulano durante la giornata semplicemente perché non riescono a dire di no. E cosa succede dopo? Nel "voler" compiacere gli altri, rovinano la propria giornata e i suoi possibili risultati con un imbarazzante "mi dispiace" "non sono riuscito" "non è andata bene" ed una lista infinita di scuse o piccole bugie "innocenti" che portano con sé una certa sofferenza.


Diciamo di Sì a tutto, anche quando non dobbiamo, per una semplice ragione, il No ci sconvolge.

Questo sistema è pericoloso per noi, ma anche per le persone che vivono attorno a noi. Rompere questa catena è liberatorio non solo per noi, ma anche per gli altri. Ci proporziona un effetto immediato di leggerezza e sollievo di essere liberi, autonomi, padroni del nostro tempo, e di non dover più intraprendere un compromesso che non vogliamo.


La libertà proporzionata dal No!, si riflette nelle piccole cose della nostra vita quotidiana a cominciare dalla leggerezza di non dover più vivere in stress o nell'ansia di soddisfare le aspettative degli altri perché, ahimè, lì abbiamo detto di sì quando intendevamo dire di no.


Come liberarsi da questo peso sulla schiena?


La via migliore è senza dubbio quella del mental coaching o un accompagnamento psicologico per prendersi coscienza degli aspetti legati alla paura, all'autostima, all'autoaffermazione, o alla necessità di dimostrare prestazione. Smantellare queste strutture psicologiche connesse ai qui pro quo del sì/no e ricostruire una nuova base di significati con una importanza diversa è parte fondamentale di questo lavoro.

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